A proposito delle donne nel Risorgimento*

*Testo tratto dall'introduzione di Gian Paolo Bulla alla conferenza di Nadia Dalpiaz tenutasi a Piacenza il 21 gennaio 2011 dal titolo: Donne del Risorgimento tra guerra e salotti, inserito nel ciclo di incontri sul Risorgimento italiano organizzati dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano.

Vi sono nelle varie vicende che sconvolsero gli Stati italiani nella prima metà dell’Ottocento fermenti patriottici e libertari che coinvolsero anche delle donne, in specie appartenenti alla nobiltà e all’alta borghesia che lasciarono una certa testimonianza di sé. Si va dalla repubblica napoletana della fine del Settecento (Eleonora Pimentel Fonseca) alle esponenti dei salotti milanesi come Clara Maffei e Giulia Beccaria, genovesi o fiorentini. Personaggi della nobiltà e dell’élite intellettuale che scrissero e propagarono le idee risorgimentali oppure forti personalità che si spesero di persona: la prima moglie di Crispi Rose Montmasson unica donna fra i Mille, Anita Garibaldi o Adelaide la madre dei fratelli Cairoli novella Cornelia. Senza trascurare semplici donne del popolo che, oscuramente, si diedero da fare, per così dire, nelle retrovie: semplici madri (come quella raffigurata nel dipinto La partenza del coscritto della pinacoteca piacentina Ricci Oddi), cucitrici, vivandiere, infermiere (pare che dall’esempio delle soccorritrici dei feriti a S. Martino e Solferino nacque a Henri Dunant l’idea della Croce Rossa…). Le più note fecero una vera e propria attività politica, soprattutto fra le file mazziniane, come Cristina Trivulzio di Belgioioso o Giuditta Sidoli. E fecero forse del femminismo ante litteram propugnando rivendicazioni di natura politica e sociale a partire dal diritto di espressione e di voto. Quest’ultimo venne in Italia solo nel 1946 e prima di quella data non ebbe nessun sostegno: sul Corriere della Sera nel 1907 Gaetano Mosca ad esempio usava frasi inequivocabili per dichiarare la sua contrarietà al voto femminile.

C’è un aspetto diverso, tramandato dall’iconografia, che lega la figura femminile in età giovanile alla rappresentazione stessa dell’Italia o di parti di essa. L’Italia ora mesta ora trionfante che cercava di affermarsi nei decenni decisivi dell’Ottocento: l’Italia piangente che Canova scolpì per la tomba di Alfieri a Firenze nel 1810, la Patria malinconica – secondo una lettura mazzininiana - ne La meditazione di Hayez del 1851, la fiera Ciociara, sempre di Hayez, questa volta una popolana. O la Venezia che spera di Appiani del 1861.

In ultimo, ci sono donne in posizione di rilievo nella Piacenza del Risorgimento? Almeno una l’ho trovata, una suora, Giustina Bissi di Fontana Pradosa (1827-1904) che fu accanto, con l’inglese Jessie White Mario, a Giuseppe Garibaldi ferito in Aspromonte. Fu sorella di Antonio medico nei Cacciatori delle Alpi (consulta la banca dati dei combattenti piacentini).

Se la partecipazione delle donne italiane fu limitata a posizioni di supporto e di opinione, è arduo trovare circostanziate notizie relative a piacentine. Compaiono qua è là in episodi di colore, come in quello narrato da Ettore De Giovanni secondo cui la giovane Cristina Rebasti, commentando il canto, a lei dedicato, della ronda della Guardia Civica appena costituitasi, gridò “Non per me, ma per Piacenza, per l’Italia rinata!”. A lavori di corredo si dedicò nel 1859 la lugagnanese Adelaide Vincini che radunò fanciulle per fornire gli ospedali militari «di 3 pesi di filacce, 2362 piccole fasce, 486 lunghe bende, 17 lenzuoli e 27 camicie». La contessa Luisa, sorella di Pietro Zanardi Landi, nel 1848 confezionò una bandiera con i colori e lo stemma di Piacenza. La bandiera fu benedetta in Duomo e accompagnò la Legione volontaria comandata dal fratello, formata e vestita nell’ex convento di S. Agostino, che combatté a Sandrà, Pastrengo e Rivoli. A S. Agostino è legata una celebre patriota, non piacentina ma pavese di Casteggio: Alba Coralli. Fervente mazziniana operante fra Milano e Genova, di cui è noto un imponente epistolario, si occupò dei collegamenti e dell’assistenza durante le campagne del 1859 e 1866 e contribuì a fondare il giornale progressista “La donna”. La curiosità è che studiò a Piacenza nel Collegio femminile di S. Agostino fondato nel 1816 e chiuso precipitosamente nel 1943. In effetti la tendenza a fornire una adeguata istruzione alle ragazze nobili e civili fu viva a Piacenza nell’Ottocento. Fu il conte Corrado Marazzani Visconti (uno dei componenti del Governo provvisorio piacentino del ’48) a incaricare Rosalia Arthius in Gerardin della direzione dell’istituto che ebbe sede nell’ex convento agostiniano fino al 1859, allorché per ragioni militari fu sloggiato trovando collocazione, dal 1861 al 1888 nell’ex monastero di S. Chiara e più avanti, fino alla scomparsa, nel palazzo Lupi già Mancassola di proprietà della Cassa di Risparmio. Fra le figure femminili sicuramente attestate spicca quella di Alba Soprani (1822-1899), sposa di Fausto Perletti primo sindaco unitario, la quale partecipò di persona alle concitate vicende risorgimentali dapprima a Roma, nel 1847-1848, e poi a Piacenza. Scrisse poesie e canzoni, molte di argomento patriottico.