Piacenza nel Risorgimento
La fase conclusiva del Risorgimento a Piacenza
Il ritorno dei Borboni e il Decennio preunitario (1849-1859)
Gli avvenimenti incalzano e non sono favorevoli alla causa rivoluzionaria: dopo la sconfitta di Custoza (Luglio 1848), il Piemonte firma con l'Austria l'armistizio Salasco, che consente agli Austriaci di ritornare nel territorio dei Ducati. Al loro rientro vengono emanate dal generale Thurn Ordinanze repressive, che impongono forti contribuzioni economiche, prevedono la pena di morte per i sobillatori e proibiscono nel modo più assoluto manifestazioni politiche. Viene chiusa anche la dogana principale di porta Borghetto, con grave danno per le esportazioni e per il commercio. E' questo pertanto un ulteriore duro periodo per i nostri patrioti, alcuni dei quali esiliano volontariamente in Piemonte, e per i membri del Governo provvisorio. Il Commissario regio piemontese si trasferisce a Castel San Giovanni e a Piacenza restano a opporsi al regime poliziesco austriaco il Consiglio e il podestà Gavardi.
In seguito, com'è noto, Carlo Alberto scioglie il Parlamento nel Gennaio 1849 e indice nuove elezioni; data la occupazione austriaca, a Piacenza i seggi elettorali sono trasferiti a Pontenure e a Sant'Antonio. Per Piacenza sono confermati i candidati liberali, tra cui il Gioia, e nel collegio elettorale di Bardi viene eletto il poeta Giovanni Berchet.
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Nel frattempo il 14 Marzo 1849 Carlo II di Borbone abdica in favore del figlio, che assume la sovranità nei Ducati con il nome di Carlo III. Nell'attesa del suo arrivo e dopo la sconfitta piemontese a Novara, il governo è saldamente nelle mani del generale austriaco barone d'Aspre, che riafferma l'unità dei Ducati e istituisce una amministrazione formata da due Giunte, ma di carattere sostanzialmente unitario nel governo: è questa una chiara ritorsione nei confronti della scelta separatista di Piacenza.
La politica di Carlo III di Borbone si dimostra insensata oltre che reazionaria. La sua mania militarista lo induce a mantenere stabilmente a Piacenza una guarnigione di 6.000 uomini; istituisce una Guardia pretoriana e procede alla militarizzazione anche della Polizia, intensificando i controlli repressivi. Sostituisce la normale detenzione con la "pena del bastone" anche per i reati comuni come gli schiamazzi notturni e la diffusione di scritti sovversivi. Applica la legislazione di guerra a ogni tipo di reato, anche d'opinione. Concede l'amnistia per alcuni membri dei governi rivoluzionari, ma non a Pietro Gioia, che viene bandito dal territorio dei Ducati con apposita ordinanza nel Maggio del 1849. Sopprime le scuole superiori sia a Parma che a Piacenza per impedire che gli insegnanti trasmettessero "massime perverse e sovvertitrici" e fa chiudere il Collegio Alberoni, ritenuto focolaio di idee liberali. Istituisce una Commissione per procedere all'esame degli insegnanti in vario modo compromessi con i fatti del 1848: ad alcuni viene diminuito lo stipendio, altri vengono licenziati. Tra questi gli avvocati Carlo Fioruzzi, Carlo Giarelli e il dottore Giovanni Rebasti. Fioruzzi e Giarelli e Vincenzo Maggi, collaboratore del Risorgimento del Cavour, insieme ad altri, vengono anche arrestati per cospirazione contro il sovrano e poi rilasciati dopo un mese. Giordani è morto nel 1848 e il Gabinetto di Lettura viene perquisito e rimane aperto soltanto grazie all'intervento del Governatore Pallavicino. Il culmine della repressione si ha nel 1850, quando il Consiglio Comunale stesso viene d'autorità sciolto e sostituito in tutti i suoi membri. In tali condizioni di estrema repressione la cospirazione non può che lavorare in sintonia con gli ambienti piemontesi e infatti molti patrioti emigrano a Torino, come Angelo Genocchi: insegnante di Diritto romano, di fede repubblicana, lascia Piacenza per Torino dopo la battaglia di Custoza.
Il governo di Carlo III ha termine con la sua morte violenta: il 26 Marzo 1854 viene ucciso pugnalato da Antonio Carra in un agguato, frutto di una congiura i cui responsabili probabilmente hanno legami con gli esuli parmigiani in Piemonte. Il governo è assunto dalla vedova Luisa Maria, con la quale collaborano i membri di un Triumvirato, di sicura fedeltà nei confronti dei Borboni.
Nello stesso anno viene compiuto da parte di alcuni rivoltosi di Fiorenzuola il tentativo di fare insorgere la popolazione a Parma; i ribelli, probabilmente di fede mazziniana, sono guidati da Leonzio Armelonghi, un avvocato di Monticelli.
La liberazione e l'unità
E' questa l'avvisaglia di sommovimenti decisivi che scoppiano a Parma all'inizio del Maggio 1859. Si tratta di un vero e proprio colpo di stato: un gruppo di rivoltosi di fede repubblicana in nome del Re di Sardegna impone al marchese Pallavicino, collaboratore della duchessa, di cedere i poteri. Si instaurano una Giunta rivoluzionaria e una Commissione governativa. Viene istituita la Guardia Civica secondo l'ordinamento del Regno di Sardegna e da Torino giunge il Commissario regio Diodato Pallieri. In seguito a tali fatti e anche per il timore suscitato dalle sollevazioni delle città toscane, promosse dagli aderenti alla Società Nazionale, la duchessa Luisa Maria abbandona Parma il 9 Giugno 1859.
I successivi avvenimenti politici si verificano parallelamente alla campagna militare franco-piemontese in Lombardia, che porta alle vittorie sugli Austriaci a Magenta, Solferino e S. Martino nel Giugno 1859.
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A Piacenza da tempo si registra la diffusione sempre più capillare di opuscoli e manifesti provenienti dal Piemonte, grazie all'azione dei fuoriusciti piacentini là rifugiati: Gioia, Genocchi e Freschi. Ma soprattutto è da sottolineare che anche nel nostro territorio si diffonde la presenza della Società Nazionale, i cui comitati segreti sono animati e diretti dall'avvocato Giuseppe Manfredi, figura che rivestirà un ruolo chiave nella fase decisiva del processo risorgimentale piacentino. Aderiscono a tali comitati sia elementi borghesi, sia popolani e operai, come Antonio Labò, che si adopera a introdurre armi dal Piemonte e a diffondere copie del Piccolo corriere Italiano, fondato dal La Farina.
Sull'onda delle sconfitte subite in Lombardia ad opera dell'esercito franco-piemontese, gli Austriaci lasciano Piacenza: ben 8.000 soldati escono dalla città, attraverso le Porte Fodesta e Borghetto comandati dal generale Gyulai il 10 Giugno 1859. Piacenza può dirsi libera militarmente e pronta per unirsi al Regno di Sardegna: la sera stessa si bruciano in città gli stemmi austro-borbonici. Pietro Gioia richiama i piacentini alla decisione presa nel 1848: il 10 Giugno il Consiglio Comunale rinnova il voto di annessione già espresso in quell'anno (seconda votazione plebiscitaria) e al governo dei Ducati viene chiamato Giuseppe Manfredi, rifugiatosi nel frattempo a Torino per evitare l'arresto. Il Commissario regio Pallieri giunge nella nostra città il 17 Giugno. La strada sembra sin troppo piana.
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In effetti l'inaspettato armistizio di Villafranca (13 Luglio 1859) sancisce una pausa nel processo risorgimentale, le cui ripercussioni si avvertono anche a Piacenza. In città tuttavia molti accorrono ad affiggere sui muri migliaia di biglietti che inneggiano a "Vittorio Emanuele nostro Re". Nelle strade illuminate si riversano frotte di cittadini in festa insieme ai soldati francesi e le grida sono inequivocabili: la cittadinanza vuole stare unita al Piemonte. Viene esposto sotto il palazzo del Comune un albo recante le firme di più di 5.000 cittadini che fanno omaggio al Re. Il Consiglio Comunale delibera all'unanimità una comunicazione indirizzata a Vittorio Emanuele in cui si esprime la volontà di affidarsi a lui per l'avvenire. Ma in ottemperanza al dettato dell'armistizio il governo piemontese richiama i Commissari regi presenti nei Ducati. Tuttavia il Commissario Pallieri prima di lasciare la città nomina suo sostituto Manfredi, che assume il governo provvisorio in nome del popolo. E' in questo delicato frangente che il nostro concittadino mostra la sua capacità decisionale e operativa. Nella situazione di vuoto di governo Manfredi, praticamente dittatore per investitura del Commissario piemontese, ma non legittimato nel suo potere dalla volontà popolare, si fa promotore di un ulteriore plebiscito (il terzo) secondo il principio dell'autodeterminazione dei popoli, di ispirazione nettamente risorgimentale e mazziniana. Pertanto l'Anzianato, dopo il voto di annessione deliberato dai comizi elettorali, chiede nuovamente e ufficialmente l'unione al Regno di Sardegna e i vari Consigli municipali votano l'adesione delle popolazioni.
La fase finale del processo è ormai innescata. Nel Settembre 1859 Luigi Carlo Farini, già dittatore delle province modenesi e succeduto al Manfredi (18 Agosto) anche nei Ducati parmensi, costituisce una Assemblea dei Rappresentanti del popolo, formata da 63 membri, di cui 5 piacentini tra i quali figura Manfredi stesso; l'11 Settembre Carlo Fioruzzi pronuncia il discorso con cui viene ufficialmente dichiarata decaduta la dinastia dei Borboni; il 12 Settembre viene votata formalmente l'annessione al Regno di Sardegna; è inviata a Torino la Commissione che comunichi l'esito della votazione. Dal 17 Settembre si introduce lo Statuto Albertino e Farini indice le elezioni per esprimere i deputati alla Costituente italiana. Il 30 Novembre vengono soppressi i governi separati di Parma e Piacenza. Il 5 Febbraio 1860 il primo Sindaco di Piacenza nominato dal Re di Sardegna, il conte Faustino Perletti, indice le elezioni per rinnovare i Consigli Comunali e Provinciali; i consiglieri comunali sono eletti nel numero di 40 nelle sei sezioni di San Pietro, Sant'Eufemia, San Savino, Santa Brigida e San Donnino. L'11 e 12 Marzo il plebiscito per l'annessione viene esteso anche all'Emilia e alla Toscana, che vengono dichiarate annesse il 15 Marzo; il 25 Marzo dello stesso anno sono indette elezioni politiche dalle quali negli otto collegi piacentini (compresa Bardi) escono eletti alcuni esponenti liberali fra cui Pietro Salvatico, Camillo Piatti e Pietro Gioia. Tra Gennaio e Febbraio 1861 vengono fondate la Cassa di Risparmio e l'Associazione Operaia Piacentina.
Piacenza e la spedizione dei Mille
Piacenza ha dato un notevole contributo alla spedizione garibaldina per la liberazione dell'Italia meridionale dal dominio borbonico. Singoli piacentini hanno raggiunto i primi Mille in occasione di successive spedizioni: Alessandro Ballerini, Riccardo Botti, il conte Carlo Douglas Scotti, Enrico Ferrari, Lisimaco Ganna, Gaetano Pedegani, Giacomo Vitali. Tuttavia nell'Elenco ufficiale alcuni nostri concittadini figurano come partecipanti della prima impresa sin dalla fase iniziale.
Il più noto è Giovanni Maria Damiani. Nato a Piacenza nel 1832, partecipò a tutti i combattimenti del 1848 e combatté nel Marzo 1849 a Novara (dove cadde il fratello Sigismondo). Nella notte tra il 14 e 15 Agosto 1853 riuscì con l'aiuto di un amico a issare sulla piazza dei Cavalli una bandiera tricolore, che sventolò all'alba davanti agli occhi dei corpi di guardia austriaci. Sospettato e perseguitato dalla polizia borbonica, fuggì a Londra, dove incontrò Mazzini, quindi al suo ritorno fece parte della schiera dei patrioti inviati dal Mazzini nell'Italia centrale con il compito di sollecitare le popolazioni di quelle zone ad insorgere. Infine egli divenne capo delle Guide a cavallo, il corpo che costituiva la "guardia d'onore" del generale Garibaldi. Lo scrittore e garibaldino Giuseppe Cesare Abba, nel suo Diario della spedizione dei Mille intitolato Da Quarto al Volturno parla più volte di Damiani. In particolare lo descrive nella mischia della battaglia di Calatafimi mentre sul suo cavallo impennato riesce ad afferrare e strappare un nastro della bandiera di Valparaiso. E' tra i primi a entrare in Palermo con Garibaldi, proteggendolo insieme a Nievo e Bixio. Durante lo scontro del Volturno salva Garibaldi da un agguato, accorrendo con 60 suoi soldati. Damiani combatté ancora nello scontro di Aspromonte, fu arrestato a Napoli, si guadagnò una delle sue due medaglie al valore nella battaglia di Bezzecca. Terminate le imprese militari, tornò alla vita civile con un modesto incarico di economo all'Università di Bologna, dove fu onorato dall'amicizia di Carducci e Pascoli. Si tolse la vita il 7 Novembre 1908 e Pascoli pronunciò un discorso in sua memoria nel primo anniversario della sua morte.
Di Carlo Luigi Baderna si sa che, nato a Castel San Giovanni nel 1834, al suo ritorno dalle imprese militari risiedette con la moglie a Fontana Pradosa di Castel San Giovanni, dove svolgeva la professione di merciaio. Prima di partecipare alla spedizione garibaldina si arruolò nel Corpo militare dei "Cacciatori delle Alpi" e forse si guadagnò tre medaglie al valore nella campagna militare del 1859. Combatté ancora con Garibaldi in Trentino nella campagna del 1866.
Altri inclusi nell'Elenco ufficiale dei Mille sono i seguenti.
Giovanni Campi: musicante girovago nativo di Monticelli d'Ongina, arruolato nella 1^ compagnia Bixio.
Giuseppe Vecchio: di Trebecco di Nibbiano (allora in provincia di Pavia), probabilmente bracciante agricolo, si imbarcò a Quarto con i Mille, ma non si hanno notizie circa il suo operato nella spedizione.
Luigi Bay: nato a Lodi, ma residente a Piacenza, probabilmente combatté anche ad Aspromonte e alla Bezzecca; quando si imbarcò con i garibaldini a Quarto nel Maggio 1860 aveva appena compiuto 15 anni.
Infine sono da segnalare due piacentini che, pur non inclusi nell'Elenco ufficiale, risulterebbero aver partecipato all'impresa dei Mille secondo alcune fonti. Sono i seguenti.
Pietro Pecchioni: nativo di Sarmato, subì il carcere e la tortura avendo partecipato nel Luglio 1854 alla insurrezione parmense a seguito dell'uccisione di Carlo III di Borbone; si arruolò nel corpo dei "Cacciatori delle Alpi" e partecipò alla spedizione Zambianchi negli Stati pontifici, quindi partecipò in Sicilia al combattimento di Milazzo.
Carlo Frattola: di incerta provenienza, sarebbe morto nella battaglia di Calatafimi.