Li chiamarono ... briganti

Pubblichiamo il testo dell'articolo di Enzo Latronico "Li chiamarono ... briganti. Critica divisa e poca presenza nelle sale per un film che dice il vero sull'Unità d'Italia", apparso nella Nuova Gazzetta di Piacenza, marzo 2011, p. 28-29.


Un film di Pasquale SquittieriNel 1999 un film di Pasquale Squitieri dal titolo Li chiamarono... briganti sparì "stranamente" dalle sale cinematografiche di tutta Italia, oppure, sarebbe meglio dire: dalle sale cinematografiche di tutto il regno; già perché questo lavoro di Squitieri raccontava proprio del neonato regno d'Italia. Ma perché fu ritirato tanto frettolosamente dalle sale? Un prima ipotesi dice che fu un disastro al botteghino, ovvio, se viene tolto di mezzo prima che concluda il suo naturale ciclo di vita credo sia normale il mancato incasso. Una seconda ipotesi, e credo sia la più veritiera, dice che all'epoca il film fu tacciato di revisionismo storico tanto che una parte della critica lo definì appunto "prettamente revisionista" mentre altra critica lo definì comunque un bel film storico sebbene con qualche sbavatura. Dunque, cerchiamo di capire. Pasquale Squitieri non è uno sprovveduto, o uno che racconta per sentito dire (e voglio citare Il prefetto di ferro e I guappi), anzi, è molto attento quando racconta eventi che storicamente hanno avuto un certo peso, è il suo mestiere e lo fa bene. Non prende posizione, e nel caso specifico de Li chiamarono... briganti, non fa altro che mettere in scena un'altra versione dei fatti relativamente al periodo risorgimentale, poco dopo l'unità (1861 -1864) spostando l'attenzione sul meridione. Così come Sergio Leone aveva dedicato il suo Giù la testa alla rivoluzione aprendo il film con una citazione di Mao, Squitieri dedica il suo Li chiamarono... briganti a Sergio Leone; presto detto, il popolo dell'Italia meridionale si rivolta all'esercito sabaudo dopo la cacciata dei Borbone. Il regista napoletano non risparmia nulla al pubblico illustrando in maniera cruda le atrocità commesse dall'esercito piemontese, in particolar modo, sulla popolazione lucana: eccidi in nome di rappresaglie, stupri e anche decapitazioni di alcuni briganti, le cui teste furono messe in mostra per intimorire i contadini rivoltosi. Questo episodio fa riferimento ad una pratica effettivamente utilizzata durante la repressione del brigantaggio, documentata attraverso testimonianze fotografiche e bibliografiche. Squitieri non si accontenta e se una storia deve essere raccontata con tutti i crismi, mette in luce altri aspetti di questa controversa pagina storica come i contatti tra governo sabaudo e la criminalità organizzata per acquietare le rivolte e le conseguenze negative dell'unità d'Italia che si abbatterono nel sud della penisola: la questione meridionale e l'emigrazione. Vediamo da dove parte Squitieri. L'incipit è Carmine Crocco (Enrico Lo Verso) che orgoglioso di essere stato un caporale garibaldino e aver così contribuito all'unità d'Italia torna al proprio paese in Basilicata per consegnare al sindaco il congedo ottenuto con onore per poter così arruolarsi nella Guardia Nazionale Italiana. Ciò non gli sarà possibile poiché con la caduta del Regno delle Due Sicilie e la sua annessione al regno dei Savoia, il sud Italia viene logorato da un sanguinario scontro che vede contrapporsi l'esercito sabaudo fedele al re Vittorio Emanuele II e gruppi di insurrezionalisti, composti perlopiù da braccianti disperati e nullatenenti etichettati come "briganti" dai piemontesi e militari del decaduto regno borbonico. Crocco scopre suo malgrado che il potere ha sempre la stessa faccia: con il nuovo governo sabaudo, la situazione economica e sociale non è affatto cambiata e la classe dominante ha le mani libere per speculare ed opprimere la gente, vedendo un profondo disagio negli occhi dei suoi compaesani, dirà infatti: hanno deposto un re e ne hanno messo un altro, peggio del primo. Già ricercato perché aveva ucciso un uomo che aveva disonorato sua sorella, Crocco sperava di ottenere un'amnistia entrando nella Guardia Nazionale, come era stato promesso dal nuovo governo; ciò non sarà mantenuto e per tutta risposta Crocco finisce pure in carcere. E' da questo momento che Crocco sposa la causa dei Borbone. Grazie all'interessamento della chiesa Crocco riesce a fuggire riparando nei boschi e lì si unirà ad altri fuorilegge. Dapprima si danno alla macchia e solo in un secondo tempo Crocco riuscirà col suo carisma ad unire tutti quegli sbandati sotto la sua bandiera e a trasformarsi così da brigante a rivoluzionario. Il consenso popolare non tarda ad arrivare e costituito un piccolo esercito e con l'appoggio dei suoi fedeli Ninco Nanco, Caruso (Elio Coltorti) e la passionaria Filomena, conquista varie cittadine tra cui Rionero (suo paese d'origine) e Melfi, in nome del re Francesco II. Il governo sabaudo non sta a guardare, il brigantaggio è una piaga oltre che un movimento rivoluzionario e la repressione non tarda ad arrivare. Viene incaricato a ripristinare l'ordine in meridione il generale Enrico Cialdini; con la forza. Cialdini ordina immediatamente l'arresto dei briganti e di chiunque abbia rapporti con loro, impone fucilazioni di massa (ove non vengono risparmiati neanche donne e bambini) e sequestri di beni di prima necessità per il popolo. Questi metodi poco ortodossi sono mal tollerati dal caporale dei carabinieri Nerza (Franco Nero) che però, essendo un militare, obbedisce agli ordini impartiti e fedele nei secoli si lancia alla ricerca dei briganti/rivoltosi. Crocco intanto riceve la visita del generale spagnolo José Borjes, mandato da Tommaso Clary per conto di Francesco II, con l'obiettivo di trasformare la banda del brigante in un vero e proprio esercito. Tra i due però i rapporti sono pessimi e il sodalizio durerà poco, poiché Carmine teme, e ne avrà ragione, che Borjes possa prendere il controllo dei suoi uomini. Decide di interrompere la collaborazione con il generale e di continuare da solo la sua ormai guerra personale al nuovo governo italiano. Caruso non ha mai visto di buon occhio l'ascesa di Crocco e decide di andare a costituirsi presso le autorità sabaude sperando in un provvedimento di grazia nei suoi confronti. Essendo a conoscenza dei rifugi e delle tattiche dei briganti, Caruso rappresenta una componente essenziale per infliggere un duro colpo alle bande e così viene affidato al caporale Nerza per condurre i soldati piemontesi nel loro covo. Il suo tradimento porta alla decimazione dei gruppi di cui era parte e molti dei suoi ex compagni d'armi, compreso Ninco Nanco, vengono eliminati. Davanti ad una battaglia persa, per Crocco l'unica via per mettersi in salvo è la fuga. Questo è quanto raccontato da Pasquale Squitieri, un bel film d'azione, forse con qualche rallenty di troppo nelle scene madri e un doppiaggio pessimo, ma nulla di più e nulla di meno; Morando Morandini l'ha definito "isterico". Squitieri ha narrato fatti realmente accaduti, tant'è che il film sembra quasi un'agiografia di Carmine Crocco, certo una libertà il regista se la prende, anzi, più di una. Dalla veridicità dei documenti che hanno ispirato il film emerge poi un finale estremamente romanzato: Caruso viene ucciso da Filomena travestita da Crocco, in una scena tanto epica quanto ridicola, mascherata come una poesia e sottolineata dalla voce di Lina Sastri che canta le canzoni dei briganti, mentre Crocco fugge ricordato come un sogno. Nell'economia del film ci può anche stare ma storicamente credo sia necessario ricordare che Crocco, provvidenzialmente salvato dai titoli di coda, è stato arrestato e condannato all'ergastolo; morì in carcere. Giuseppe Caruso invece, grazie al suo tradimento, beneficiò della grazia e diventò una specie di guardia forestale, visse bene e fu anche rispettato dalla popolazione. Detto questo, credo che la censura a cui è stato sottoposto il film non abbia fatto altro che rafforzare la personalità di un autore come Squitieri anche di fronte all'introvabile DVD del film, perché il regista non ha fatto altro che raccontare, come si diceva all'inizio, la storia da un altro punto di vista, e cioè da quello dello "stesso" popolo italiano che ha visto nell'unità d'Italia solo l'invasione e l'oppressione da parte di un altro esercito, seppure composto da italiani stessi.