La guerra dei bambini

la guerra dei bambini: preparazione pacchiDurante la Grande Guerra le donne e i bambini ebbero una visibilità sociale prima sconosciuta. La partenza per il fronte di circa sei milioni di uomini (su sette milioni di maschi in età militare), impose un continuo riadattamento degli equilibri sui quali si reggevano le convivenze all'interno della maggior parte delle famiglie. Anche i bambini e gli adolescenti furono coinvolti nella guerra, se non come combattenti, come vittime e testimoni: figli o fratelli e sorelle di soldati in tanti casi dovettero lavorare duramente al posto del capofamiglia. Tutti potevano e dovevano essere utili alla patria. Migliaia di adolescenti dovettero anticipare l'ingresso nel mondo del lavoro (l'erogazione del sussidio familiare riconosciuto ai figli degli uomini chiamati a combattere veniva a cessare al compimento del loro dodicesimo anno di età). Molti ragazzi e ragazze furono impiegati dai comandi militari in diversi lavori: sgombero e manutenzione di strade, trasporto di materiali, rifornimento ai soldati ecc. In massima parte la manodopera proveniva dai comuni vicini alle linee di combattimento, ma alcuni giovani affrontarono anche lunghi viaggi per poter lavorare.

Peggiori furono però le condizioni di vita per gli adolescenti e i giovanissimi che si trovarono nei territori invasi dalle truppe austriache e tedesche all'indomani di Caporetto; qui i bambini e le bambine conobbero anche la paura e la fame, la prepotenza degli uomini in armi, il precoce contatto con la violenza e con la morte. Inoltre i bisogni della popolazione finirono in secondo piano rispetto alle priorità dell'esercito occupante: i generi alimentari destinati ai civili vennero drasticamente razionati; le produzioni manifatturiere e agricole vennero requisite e si procedette allo smantellamento di ciò che rimaneva dell'apparato produttivo; foraggi, animali, derrate alimentari e persino suppellettili domestiche e biancheria dovettero essere consegnate.

la guerra dei bambini: preparazione degli scaldarancioNel marzo del 1918 i comandi degli eserciti occupanti imposero alle autorità comunali di compilare una lista di tutte le donne e gli uomini tra i quindici e i sessant'anni presenti affinché individuati, venissero reclutati come manodopera nei lavori più urgenti lungo le retrovie austro-tedesche.

Nell'ideologia nazionalista, il bambino non costituisce più una parte del popolo, ma diventa prototipo del popolo, il quale viene considerato come un minore e come tale, va educato, sedotto, plasmato affinché da elemento di debolezza diventi punto di forza della nazione in costante competizione e conflitto. In tal senso, le azioni politiche e culturali messe in atto dallo stato per la conquista dell'infanzia e dell'adolescenza, possono essere considerate, e dunque analizzate, come un modello di pratiche attivate per la manipolazione delle masse stesse. Ora, la nazionalizzazione dell'infanzia come premessa alla nazionalizzazione delle masse, si concretizza proprio nel corso della Grande guerra, assimilando i bambini al popolo delle trincee e viceversa, sino a farne una specie di equazione. 

Se la condizione dei bambini nel periodo di guerra mutava in relazione alla loro appartenenza sociale, è comunque possibile rilevare alcuni elementi che accomunavano le esperienze dei più piccoli. A partire dalla diffusione dell'ideologia della parsimonia e dei sacrifici che divenne un imperativo economico e morale che riguardava tutti i cittadini, indistintamente, inclusi i più piccoli. Nei giornalini a loro destinati, nelle cartoline illustrate, nei manifesti murali, i bambini diventavano destinatari di ammonimenti precisi: non consumare troppo le scarpe saltando alla corda, non sprecare carta facendo macchie sui fogli, consumare solo lo stretto necessario per l'alimentazione, magari rinunciando allo zucchero che scarseggiava

la guerra dei bambini: bambino studiosoCon lo scoppio della guerra l'operazione pedagogica, avviata in precedenza, volta ad incrementare lo spirito patriottico dei bambini, si fece più stringente attraverso il ricorso di alcuni strumenti. Un ruolo importante in tale direzione venne ricoperto dai giornali a loro dedicati; come nel caso dei giornali di trincea (per i quali lavorarono diversi illustratori e vignettisti provenienti dalla stampa per bambini), destinati ad individui semianalfabeti, questi erano pieni di figure, di vignette, di storie animate più che di parole.

Soprattutto la scuola divenne oggetto di attenzione sistematica della propaganda. La necessità di avvicinare la scuola e la trincea coinvolse tutte le materia di insegnamento: per la lingua italiana erano previste letture di giornali e periodici narranti episodi della guerra, nonché l'esame e la descrizione di vignette, quadri, cartoline illustrate rappresentanti notevoli momenti ed episodi di guerra e specialmente atti d eroismo del nostro esercito; per la geografia si proponevano tra l'altro, la configurazione del Carso e l'elenco dei comuni conquistati.

In conclusione l'infanzia, realtà fino a quel momento largamente sommersa e generalmente opaca, acquistò una visibilità sociale prima sconosciuta. In particolare, l'assunzione dei bambini come patrimonio della nazione, la loro nazionalizzazione dunque, costituì per molti versi la premessa all'opera di statalizzazione dell'infanzia condotta successivamente dal fascismo.