Approfondimenti

I piacentini alla guerra

Combattenti per l'UnitàMolti dei legami umani che, nei primi decenni dopo l'unità, hanno tenuto assieme e fatto progredire la città di Piacenza sono nati sui campi di battaglia.

Le guerre sono tempo di odio e distruzione, di sacrifici e di morte. Ma sono anche tempo di solidarietà fra  commilitoni e (da 2 secoli almeno) sono  tempo in cui si spera in un futuro migliore per la propria gente. 

A metà del ‘800 migliaia di  giovani piacentini  maturarono la speranza  che il  loro futuro sarebbe stato migliore in una Italia unita, parteciparono  volontariamente alle campagne militari e, tornati a casa, mantennero  fra loro un forte legame  cementato dal fatto di aver  condiviso  paure fame e fatiche. Costituirono, inoltre, un gruppo di riferimento nella vita politica del tempo quando la città capoluogo aveva poco più di 30.000 abitanti.

Senza entrare nei particolari della violenza bellica e lasciando ad altra sede la discussione sulle speranze, possiamo  individuare quali forme di inquadramento militare, più o meno strutturate, e quali occasioni di cameratismo  abbiano avuto i  piacentini durante le guerre d' indipendenza. Nelle pagine seguenti cerchiamo di darne cenno all'interno delle diverse campagne militari culminate nella presa di Roma.

1848-49

Le guerre contro l'Austria ebbero origine  con  le 5 giornate di Milano  (18-22 marzo1848). Il successo di questa insurrezione popolare stimolò grande fiducia nello spontaneismo militaresco che, tra la fine di marzo e l'inizio aprile del 1848, portò all'organizzazione di milizie volontarie in molte città. Più svelti dei piacentini nel fondare un reparto furono i lodigiani di Casalpusterlengo che diedero origine alla «compagnia Griffini», in cui si arruolò Bernardino Massari, il primo combattente piacentino nel '48. Troviamo piacentini pure nelle cd. «colonne mobili cremonesi», nei «volontari mantovani», nella «colonna Antonini» e altrove.  

Truppe parmensi

L'esercito ducale (che come il teatro di Parma veniva definito regio) era formato in parte da volontari ed in parte da coscritti. La possibilità di essere arruolati riguardava teoricamente tutti i diciannovenni; in realtà le occasioni di esenzione erano moltissime e le reclute richieste annualmente corrispondevano a un limitato  contingente. Esso ammontava  a 1.050 uomini col duca Carlo III, nel 1851, ma era minore prima e dopo di lui. Tale contingente era ripartito  in proporzione fra i comuni  e gli arruolati erano scelti annualmente mediante una estrazione  fra gli arruolabili (da cui il termine leva). Erano possibili  sostituzioni a pagamento oppure (opzione diffusissima ) tra fratelli. 

Mentre il governo autonomo di Piacenza ordinò ai coscritti piacentini di tornare a casa, quelli rimasti al loro posto militarono nelle truppe ducali che nell'aprile 1848 il governo costituzionale di Parma schierò in guerra al fianco di re Carlo Alberto. Esse erano organizzate in almeno due battaglioni, il primo comandato dal col. Pettenati, che combatterono nel territorio fra Adige e lago di Garda, a Sandrà, Pastrengo, Rivoli, Peschiera,  Santa Lucia e Volta Mantovana.

Con l'armistizio tali reparti furono sciolti e  dal  novembre 1848 gli uomini  furono incorporati nel 23° Rgt Fanteria Lombarda. Alla fine delle ostilità tornarono nel ducato e finirono il loro periodo di servizio.

La Crociata piacentina. 1ª legione Zanardi Landi

Sostenuto da un Comitato cittadino e da fondi raccolti nei vari comuni, questo reparto fu arruolato e comandato dal conte Pietro Zanardi Landi (di Vincenzo), ex ufficiale dell'esercito sardo. Dopo essere stato  addestrato nell'ex convento di Sant'Agostino, il reparto  lasciò Piacenza il 17 aprile 1848 forte di  140 uomini, forse cresciuti fino a 200 al momento dello scioglimento.

Venne aggregato ad una compagnia di bersaglieri sardi e combatté a Sandrà, Pastrengo, Rivoli, Peschiera. Il suo teatro operativo è lo stesso delle truppe parmensi in quanto il comando piemontese avrebbe preferito un unico reparto parmigiano-piacentino.

Seguendo le loro vicende, si ha la  sensazione che  questi crociati,  protagonisti di una sacra missione, rappresentassero gli eredi dei combattenti di Legnano, i guerrieri del libero comune. In effetti, quando il comandante nelle carteggio citava «il suo governo» si riferiva al municipio di Piacenza. Quest'ultimo d'altra parte gli inviava rifornimenti: in una lettera del 22 maggio la guardia civica Camillo Marina dichiara di aver scortato «armi munizioni vestiario e denaro» inviati dal Comune.

Sul  comportamento dei volontari e sulle operazioni a cui parteciparono non abbiamo apprezzamenti unanimi. A scorrere certe relazioni sul generico comportamento dei reparti volontari, i piacentini sono accusati di mancanza di addestramento e di disciplina al pari dei reparti di altre città. Ma è ragionevole ritenere che i militari di carriera vedessero male i volontari e non deve sorprendere nemmeno che in città  la simpatia  verso i concittadini combattenti non fosse assoluta. Più volte sui giornali (Eridano e Tribuno) si smentirono accuse di comportamento indisciplinato diffuse da concittadini imboscati.

In realtà, se si analizzano i singoli  fatti d'armi  in cui furono coinvolti i Crociati, si riscontra corrispondenza fra quanto riportato dallo Stato Maggiore sardo e dagli interessati e si conferma che i piacentini svolsero i compiti loro assegnati, Non si ha motivo quindi di ritenere che essi, anche se inesperti, non abbiano compiuto il loro dovere e che gli attestati di buon comportamento concessi, quando ci furono, non fossero sinceri.

A Peschiera, nei giorni della ritirata, si ruppe il legame con l'esercito regio. Al reparto, provato da un lunga marcia, venne  rifiutato l'ingresso nella fortezza, che si temeva dovesse essere investita dagli austriaci da un momento all'altro. A quel punto Zanardi Landi condusse i suoi verso Rezzato, Brescia, Lodi e poi a casa. Il reparto fu sciolto  il 29 luglio dal comitato sostenitore per esaurimento dei fondi, quindi prima dell'armistizio firmato dal generale Salasco il 9 agosto.

Il nome ufficiale del reparto, che vestiva un'uniforme con croce rossa sul cuore, era «Crociata Piacentina». Altri lo definiscono dei «Volontari Piacentini» oppure «Legione Zanardi Landi», in definitiva la prima.

Esercito regio sardo

Molti volontari  piacentini si arruolarono direttamente nell'esercito del Regno di Sardegna, passando il confine oppure in qualche caserma di Piacenza. Un esempio è quello del volontario del 17° Rgt Fanteria che, nel chiedere il rilascio della medaglia commemorativa scrive: «il 4 maggio 1848 mi arruolai sotto il gen. Bricherasio». L'impegno era per un anno o comunque per la durata delle ostilità.

Per i giovani dei comuni allora appartenenti alla provincia di Pavia  (Bobbio e il suo circondario) il servizio nell'esercito reale era ovviamente naturale.

I Garibaldini nel 1848

Nel 1848 Garibaldi, rientrato alla fine di giugno in Italia, svolse in Lombardia una assai ridotta attività militare alla quale forse parteciparono alcuni piacentini. Dopo aver superato varie perplessità piemontesi, dopo aver ricevuto il 7 luglio un primo rifiuto, Garibaldi  ebbe il permesso di organizzare, ormai in ritardo, un proprio reparto di volontari. Senza aver potuto ancora combattere, dopo l'armistizio si rifiutò di deporre le armi, incorporò, i resti di alcune formazioni in via di dissoluzione e spostò le sue azioni sul lago Maggiore dove sostenne scontri  il 15 agosto a  Luino, dove morirono sembra alcuni pavesi (o piacentini?) e a Morazzone (18 agosto)  Dopo circa dieci giorni di operazioni il generale, in cattive condizioni di salute, si rifugiò in Svizzera. Esistono vaghe testimonianze di volontari piacentini (ad es. appartenenti all'ex colonna Antonini) smobilitati dal Veneto e passati in Lombardia con Garibaldi, ma sono incerte e non si basano su documenti probanti.

23° Reggimento di Fanteria (ex Divisione Lombarda)

La cd. Divisione Lombarda, inquadrata nell'esercito piemontese, combatté nel 1848 ed era composta da 5 Reggimenti comprendenti lombardi, polacchi, ungheresi e i bersaglieri di Luciano Manara. Dopo Custoza venne costituito il 31 ottobre 1848 un 23° Reggimento per raccogliere e addestrare, unitamente a personale piemontese, elementi delle truppe di linea dei ducati di Parma e Piacenza e di Modena. Il comando di tale reparto fu assunto dall'allora colonnello Enrico Cialdini  Dopo un inverno di addestramento entrò in azione nel 1849, durante gli scontri della Sforzesca, nei pressi di Vigevano, e di Borgo San Siro del 21 marzo. A differenza del grosso della Divisione Lombarda, esso partecipò alla definitiva battaglia di Novara del 23 e venne congedato un mese più tardi.

La 2 ª Legione Zanardi Landi

Durante l'inverno il maggiore Pietro Zanardi Landi riorganizzò a sue spese un secondo reparto di volontari che pose al servizio del nuovo governo della Toscana.  Il reparto si trovava ancora nel Piacentino, a Bilegno, quando la guerra riprese e finì il 23 marzo 1849 a Novara. La legione effettuò allora una marcia forzata per raggiungere la Toscana. All'arrivo a Pontremoli  il reparto contava 230 soldati e 13 ufficiali  e fu impegnato in scaramucce (ad es. a Fosdinovo in Lunigiana) con le truppe austriache e ducali modenesi che riprendevano il controllo del Granducato e soprattutto della repubblicana Livorno. Il reparto venne comunque sciolto a Lucca e i suoi membri  furono rimpatriati con un foglio di via . Alcuni di essi, compreso il comandante, a cui il salvacondotto era esplicitamente negato, proseguirono per Roma. Il nome ufficiale di questo reparto è quello di «Bersaglieri Toscani» in realtà verrà sempre chiamata Legione Zanardi Landi (oppure 2ª Legione Zanardi Landi per distinguerla dalla prima).

I Garibaldini nel 1849

Dopo lo scioglimento della 2ª Legione Zanardi Landi  avvenuto a Lucca, alcuni volontari non tornarono a Piacenza ma raggiunsero Roma dove Garibaldi era impegnato nella difesa della Repubblica Romana. Si presume che fra le unità di cui disponeva la Repubblica Romana i piacentini siano stati inquadrati proprio in quella legata allo stesso Garibaldi denominata «Legione Italiana».

Il piacentino Opilio Massari  fu gravemente ferito, fuori Porta S. Pancrazio, alla Villa Giraud detta del Vascello difesa dalla legione comandata da Giacomo Medici, l'ufficiale che nel 1870 sarà nominato senatore dal re e, nel 1876, marchese del Vascello (doc. 1). Lo stesso Medici riedificò il Vascello che prese anche il suo nome.

Il fatto che Luigi Frattola restasse con Massari per assisterlo durante la convalescenza dimostra che un nucleo di piacentini era effettivamente nel reparto garibaldino. Durante la ritirata verso Venezia, fu il piacentino Paolo Tibaldi a comandare fino a San Marino una colonna in retroguardia a protezione di quella di Garibaldi (e Anita).

Gli ex combattenti del 1848-49 ebbero a Piacenza una propria associazione detta «Sottocomitato Veterani 1848-49» i cui maggiori esponenti furono Bernardino Massari e il gen. Francesco Biavati. L'associazione si dedicò, con un certo tono da primi della classe, alla conservazione del ricordo delle battaglie risorgimentali.

1859

L'esperienza del 1848 aveva dimostrato che i combattenti  volontari apportano entusiasmo ma sono difficili da disciplinare, militarmente e politicamente.  Dieci anni dopo si cercò di mantenerli sotto lo stretto controllo dell'esercito regolare. Il trattato di alleanza italo-francese del gennaio 1859 all'articolo 4 si esprimeva in tal senso, prevedendo che «l'incorporazione delle reclute e dei volontari nell'Armata Sarda verrà fatta in modo da non presentare al nemico che truppe istruite e ben disciplinate». Ad ogni buon conto, i Piemontesi adottarono pure l'espediente di considerare le milizie volontarie nei ruoli della Guardia Nazionale e dipendenti dal Ministero dell'Interno anziché da quello della Guerra.

Esercito regio sardo

I volontari in età di leva (20-25 anni)  che si presentarono nelle caserme piemontesi furono inquadrati nei vari reggimenti dell'esercito regio fra i quali era il Corpo dei Bersaglieri fondato nel 1836 per iniziativa di Alessandro La Marmora (doc. 2).  Piacenza fu liberata il 10 giugno e le battaglie di San Martino e di Solferino avvennero il 24. Dunque, considerati i tempi necessari per l'addestramento e l'inquadramento, i concittadini protagonisti della pagina più sanguinosa del Risorgimento italiano furono volontari che avevano attraversato il confine per arruolarsi.

A San Martino, durante le 14 ore di continui assalti, lasciarono la vita almeno 15 piacentini. Le esperienze furono terribili, come quella che toccò ai fanti Giacomo Pomelli e Antonio Marinoni. Essi alle ore 18.00  scorsero l'amico Carlo Scaglia ferito sul campo ma non si poterono fermare perché impegnati in uno degli ultimi assalti. Non lo rividero più.

Cacciatori delle Alpi e Cacciatori degli Appennini

Nel 1859 affluirono in Piemonte numerosi volontari provenienti dagli stati limitrofi e furono via a via arruolati nei contingenti dell'esercito. Con un gruppo di essi, fra i 20 e i 25 anni, vennero costituiti due reparti di fanteria leggera denominati  Cacciatori delle Alpi e Cacciatori degli Appennini.

I Cacciatori delle Alpi ( 1° 2° e 3° Rgt)  furono stanziati a Cuneo e a Savigliano al comando del generale Garibaldi e operarono nella Lombardia settentrionale. I tre reggimenti, guidati da veterani del 1848-1849 come Giacomo Medici, Enrico Cosenz e Nicola Ardoino, combatterono aspramente a Varese, a San Fermo, a Tre Ponti di Rezzato e finirono la guerra presidiando il passo dello Stelvio. Le loro vicende sono descritte nel memoriale di Dioscoride Vitali che fu uno di loro.

I Cacciatori degli Appennini (al cui  comando era destinato il gen. Gerolamo Ulloa) erano volontari affluiti ad Acqui Terme fra le fila del 1° Reggimento delle Alpi. Questo nuovo distaccamento era destinato ad combattere a sud del Po e presidiò infatti Piacenza nelle prime 3 settimane dopo la sua liberazione. Ma, sviluppandosi la guerra nelle pianure lombarde, la presenza a Sud del 1° Reggimento Cacciatori degli Appennini divenne presto inutile e fu quindi accorpato ai Cacciatori delle Alpi come 4° Reggimento (le numerazioni 1° e 4° Rgt sono confuse nelle varie  comunicazioni dei reduci ). I Cacciatori degli Appennini, che in effetti non spararono mai un colpo, erano formati prevalentemente da toscani ma anche da piacentini (ad es. il chirurgo dr. Antonio Bissi) che si arruolarono approfittando della presenza del Reggimento a Piacenza.

Al termine delle operazioni belliche questi corpi militari vennero trasformati in due Reggimenti (51° e 52°) costituenti la Brigata Alpi. Come si nota nei carteggi consultati, i reduci dai Cacciatori  che negli anni successivi fecero domanda del certificato di congedo dovettero rivolgersi ai nuovi reggimenti che rilasciarono il documento con i propri nuovi numeri distintivi.

1860

Nel 1860 l'esercito parmense, sciolto dal giuramento, si dissolse  ma in una ordinanza il governo emiliano, quello delle Regie Provincie dell'Emilia, ordinò ai reduci di registrarsi presso i rispettivi comuni. Nell'archivio del Comune di Piacenza si conserva un registro in cui venivano annotati i cittadini tornati a casa; a loro era chiesto il luogo presso cui avevano prestato servizio e la loro disponibilità ad arruolarsi nell'esercito sardo. Qualcuno aderì, qualcun altro no.

Esercito regio sardo-italiano

Con decreto del 23 agosto 1859 vengono formati nelle province emiliane, con elementi volontari, il 5° ed il 6° Reggimento Fanteria che, nel successivo mese di ottobre, daranno vita alla Brigata Parma. Passando nell'esercito italiano nel marzo 1860  i due reparti prenderanno il nome di  49° e 50°  Rgt fanteria «Parma» e molti piacentini parteciparono alla campagna dell'Italia Centrale ivi inquadrati.

I Mille e i rinforzi dell'Esercito dell'Italia meridionale

Nel marzo 1860 sussistevano tre stati allogeni: il Regno di Sardegna, lo Stato della Chiesa, il Regno delle Due Sicilie. Quando Garibaldi salpò il 5 maggio da Quarto con poco più di mille uomini i piacentini erano poche unità. Essi aumentarono considerevolmente le con successive spedizioni, le più importanti delle quali tra giugno e luglio furono quelle condotte da Medici, Cosenz e Gaetano Sacchi. Chi intendeva  arruolarsi doveva recarsi alla sede del comitato di Piacenza dove ne venivano verificate le intenzioni. L'aspirante volontario era sottoposto ad una visita medica per certificarne la sana e robusta costituzione; se minorenne doveva produrre un atto di assenso di che ne aveva la tutela. Se accettati, a gruppi di 30- 40 (una sola volta di 60) i volontari vennero trasferiti a Genova mediante un accompagnatore. Agli inizi di agosto il comitato di Piacenza dichiarò di aver avviato a Genova 300 volontari e di averne assistiti altri 200 giunti senza mezzi. Una volta arrivato a Genova il volontario veniva preso in carico dall'organizzazione "Soccorso a Garibaldi" amministrata da Agostino Bertani - che poteva contare su fondi frutto di contributi volontari provenienti da quattro Continenti e sull'aiuto piemontese - e fatto partire con la  prima spedizione possibile. Nella campagna dell'esercito che si chiamò dell'Italia Meridionale i Piacentini furono dislocati in tutti i reparti in gruppi pari o multipli di trenta unità. Al termine delle operazioni furono congedati a Genova a piccoli gruppi ogni giorno, nei mesi di novembre e dicembre 1860.

1866

Fra quelle risorgimentali, la 3ª guerra d'indipendenza fu quella con il maggior numero di partecipanti. Il Regno d'Italia esisteva da 5 anni, il servizio militare era obbligatorio per tutti i sudditi e l'esercito, nei suoi pregi e difetti, era già divenuta quella grande realtà nazionale che i cittadini di sesso maschile hanno per forza di cose conosciuto fino a pochi anni fa. L'esercito italiano (regio o repubblicano che fosse) divideva in piccoli gruppi i soldati della stessa provenienza geografica. Non vi erano quindi unità composte prevalentemente da piacentini o di qualsivoglia altro luogo.

Esercito italiano (regolare)

Per l'esercito regolare, composto in larga parte da militi piemontesi e borbonici, la guerra in terra durò in pratica tre giorni. Iniziate le ostilità al fianco della Prussia il 21 giugno 1866, il 24 l'armata comandata da La Marmora (una seconda era guidata da Cialdini) fu sconfitta di Custoza. A quel punto le operazioni militari furono sospese e quando l'esercito ritornò ad avanzare si accorse che il nemico, pressato a nord dai Prussiani, si era ritirato e concentrato a difesa del Trentino e dell'Isonzo. Caduti e feriti dell'esercito (la Marina si condusse malamente a Lissa il 20 luglio) furono quindi concentrati nella giornata di Custoza. Se si confrontano i caduti piacentini con quelli deceduti esattamente sette anni prima a San Martino, si può rilevare che gli abitanti della città capoluogo furono in minoranza rispetto a quelli della provincia rispettando in maniera adeguata la densità demografica. I giorni immediatamente dopo la giornata di  Custoza per  Piacenza di diffuso allarme. Temendo un'offensiva austriaca, l'esercito pianificò una resistenza sulla linea del Po. Per un mese, fra Piacenza  e Fiorenzuola furono  schierati 43.000 uomini con cavalli ed artiglierie. I piacentini, oltre a sopportare i disagi conseguenti, temettero davvero di trovarsi in mezzo al campo di battaglia.

Corpo Volontari Italiani

Il richiamo di Garibaldi  anche nel 1866 fu irresistibile: circa 400 piacentini infatti si arruolarono nel Corpo Volontari Italiani affidato al generale, istituito da Vittorio Emanuele il 6 maggio e composto da ben dieci reggimenti di fanteria. La procedura di arruolamento seguita in questa occasione fece tesoro delle esperienze del passato. Il  7 maggio ci fu a Piacenza una accesa manifestazione al grido di "W la guerra"; un comitato, presieduto da Bernardino Massari, si occupò di raccogliere le iscrizioni e, nel poligono del tiro a segno, alcuni veterani comunicarono alle reclute i primi rudimenti della tecnica militare . Quando si aprirono gli arruolamenti il 22, 23 e 24 maggio,  la quasi totalità dei volontari si arruolò nei primi due giorni e l'esercito li prese immediatamente  in carico. Per motivi che ci sfuggono la maggior parte fu inquadrata nei reggimenti  10° e  7°; in particolare  la 5ª Compagnia del 10° Rgt fanteria 1° Btg e la 19ª del 7° Rgt fanteria 4° btg furono quasi integralmente formate da  piacentini.

Delle vicende occorse ai  volontari piacentini abbiamo una vivace descrizione nel diario del volontario lugagnanese Attilio Baroni (10° Rgt) allora diciannovenne, amico inseparabile del giornalista  Tancredi Raffo. Il Baroni racconta di essersi arruolato il 22 e di essere stato avviato subito a  Barletta per essere addestrato in vista di una spedizione in Dalmazia.  In realtà i volontari furono abbandonati a se stessi senza materiali o istruzioni  per un mese intero . Evidentemente l'alto comando pensava di farne a meno. Dopo Custoza, però, furono armati e riportati al nord, parteciparono ad operazioni  nel Trentino e vennero congedati a Bergamo nel settembre. Anche se il Baroni e i suoi amici appartenenti al 10° Rgt. non spararono un colpo, per i garibaldini la campagna trentina fu tutt'altro che una passeggiata e Piacenza ebbe diversi caduti.

I reduci dei Cacciatori delle Alpi, dell'Esercito Meridionale  e del Corpo Volontari Italiani furono  la base della Società Reduci Patrie Battaglie "Garibaldi"; essa assistette i soci bisognosi, patrocinò iniziative benefiche, espresse candidati alle elezioni amministrative schierandosi fra i progressisti dello schieramento politico.

1867

Campagna nell'agro romano

A tale campagna parteciparono 43 volontari piacentini dei quali, come afferma Ottolenghi nel numero unico «Piacenza garibaldina» del 2 giugno 1932, si presume che solo la metà abbia partecipato a combattimenti. Anche in questo caso il diario di Attilio Baroni rappresenta una fonte insostituibile per conoscere le vicende dei volontari piacentini. Essi, già impegnatisi nel 1866, partirono da casa  il 23 ottobre 1867 e raggiunsero  lo Stato pontificio passando per Bologna, Firenze, Siena e Orvieto. Passato il confine furono frettolosamente divisi in reparti (i piacentini nella 2ª Compagnia della colonna guidata dal mantovano Giovanni Acerbi) e il 26 ottobre venne  tentato un assalto a Viterbo. Preso atto che Roma, nonostante il sacrificio dei Cairoli a Villa Glori, non si sarebbe sollevata, i garibaldini si ritirarono ma furono intercettati da pontifici e francesi a Mentana il 3 novembre. Battuti, molti furono catturati il giorno dopo e immediatamente espulsi dallo Stato del Papa; i Piacentini giunsero a Piacenza il 6 novembre con il treno delle 6.00 a.m. Questi volontari provenivano, come abbiamo detto, quasi tutti dal Corpo Volontari Italiani  e restarono molto legati fra di loro creando un gruppo denominato «I buoni amici» attivo negli anni 1869-1872 in varie iniziative di carattere politico e culturale.

1870

Gli avvenimenti bellici dell'anno 1870 coinvolsero un numero limitato di piacentini.

Presa di Roma

La partecipazione piacentina a questa campagna militare si limitò ad alcune decine di soldati di leva che, come tutti, furono premiati dal comune di  Roma con una medaglia commemorativa. Medaglia che non doveva essere molto apprezzata in quanto alcuni dei beneficiari non la ritirarono lasciandola in giacenza negli uffici comunali di Piacenza. Per la cronaca l'assalto a Porta Pia venne condotto dal 36° Reggimento di fanteria e dal 1° Battaglione bersaglieri. Fra i feriti risulta il piacentino  Luigi Bassi di Fiorenzuola d'Arda.

Con Garibaldi a Digione

Nei testi di storia si termina sempre il racconto delle imprese belliche di Garibaldi con il suo intervento in soccorso alla Repubblica francese in guerra contro i prussiani, intervento che si concentrò nella difesa di Digione tra il 1870 e il 1871. Anche qui non mancarono volontari piacentini di cui i più noti sono Antonio Bordi ed  Anacleto Colombini, mentre Luigi Pronti morì a  Digione per riconosciute cause di servizio.

Note

(doc. 1) La bellissima villa a forma di nave andò completamente distrutta per i pesanti bombardamenti francesi durati tre settimane nel giugno 1849 e dopo gli inutili tentativi dei garibaldini di prendere la prospiciente Villa Corsini (filePDF, 76 Kb);

(doc. 2) Fra i Bersaglieri militò Antonio Capra, matr. 16555, a cui fu assegnata l'apposita medaglia commemorativa francese per la campagna d'Italia dell'anno 1859 istituita per Decreto Imperiale dell'11 agosto 1859, in AS PC, Comune di Piacenza, Leva e truppe, Militare, Carteggio (1806-1897), b. 126. Assegnazione della medaglia commemorativa francese per la campagna d'Italia dell'anno 1859 istituita per Decreto Imperiale dell'11 agosto 1859 (file PDF, 842 Kb).

Luigi Montanari e Gian Paolo Bulla